Maria Organtini


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Dal 2004 al 2005

Le prefazioni scritte

Anno 2004

Mario Biscaldi: Gli sposi promessi - Ediz. Montedit

L’originalità di questo testo liberamente tratto da i “ Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni, vuole essere un omaggio al grande Autore di cui il poeta lissonese Mario Biscaldi si dichiara estimatore, affascinato dalla sua opera che è riuscita a fermare nel tempo la vita degli uomini che popolavano il Milanese e la Brianza dell’ottocento. Il richiamo al passato, il desiderio di rendere d’attualità le vicissitudini di Renzo e Lucia, hanno spinto Mario Biscaldi a mettere in poesia la loro storia d’amore. Il verso poetico, concentra nella sintesi l’umanità dei personaggi, delinea il paesaggio, gli usi e costumi del tempo in un alternarsi di fatti talvolta gravi quali la peste a Milano, i saccheggi e i soprusi dei nobili, la carestia, la vicenda della Monaca di Monza, ricevono dal verso in rima una leggerezza altrimenti impossibile. La storia si snoda così in sintonia con il fruitore che si sente avvinto e suscita in lui il desiderio di conoscere le vicende umane a cui l’autore si è ispirato.
I personaggi: Don Abbondio, i Bravi, Don Rodrigo, Lucia Mondella, la madre Agnese, Renzo Tramaglino, Frà Cristoforo, il Cardinale Borromeo e altri sfilano nei versi obbedendo quasi ad un - pensiero segreto - dell’autore che gioisce in primis, dell’arte poetica espressa in rima a volte baciata, altre alternata, permettendogli di sviluppare sia singolarmente che collettivamente le vicende dei personaggi senza tralasciare le immagini descrittive dei luoghi medesimi dove accade l’evento con attenzione al testo primigenio, ma con garbata ironia. Alla fine, Biscaldi si sente così coinvolto che decide di scrivere una - nota d’autore- dove scherzando ammette il suo stato. Ma, com’è nel suo carattere, termina il tutto con una chiusa d’allegria:
”…non andrò, quindi, in quel del…Lazzaretto / Ma, a riposar, in quel di Lanzarote!”
Un colpo magistrale di fioretto con stoccata e fuga, affinché nessun provi a fermar l’autore di cotanto ardir e così, ancora una volta la storia tornar a udir.

Giulio Redaelli: Rondini di pensieri
Del pensiero riflesso

Del pensiero riflesso, come astratta oggettività, si legge nei versi di Giulio Redaelli, una coscienza emblematica che trova la sua ragione d'essere nell'abbandono al fluire del tempo così che tutto viene accolto e passa filtrato nella memoria per vivere un attimo e restare indelebile nel verso poetico. Quest'ultima fatica poetica intitolata: "Rondini di pensieri", ci propone un Redaelli quasi schivo nell'esprìmere le proprie emozioni, una specie di "pudore" permea i versi fino a scrivere tra parentesi un "dubbio" che lo assale all'improvviso: "... Vedrai un delirio di gioia / ci salverà (Prima o poi)", così egli chiude la poesia "Una fetta di limone nel tè", quasi un 'ammissione di precarietà. Dubbi, incertezze, fanno parte della sua ricerca poetica e oggi come nel passato, egli cerca di districarsi nel mare della vita, ancorato al verso poetico fonte primaria, intangibile, della sua formazione d'uomo, delle sue radici nella terra di Brianza dove le rondini assumono immagini di speranza nel risveglio della natura nel mutare delle stagioni, in definitiva: "...Al di là dei deli / mai più eclissi di ghiaccio. "
Un volo ipotetico per liberare l'anima dall'ansia del domani in un'esperienza vissuta nel desiderio di fermare l'emozioni, catturare l'attimo e farne dono di vita.

Valeria Albano: Fiori di agave

Il sole del poeta è lo sguardo di una donna amata,
è un pensiero grande, è una convinzione,
è l’odio dell’ingiustizia e dell’assurdità,
è l’amore della libertà. (Alphonse Karr)

Noi ci portiamo dentro l’immagine del bene che vorremmo trovare nel mondo, quasi l’idea di un segno premonitore, in grado di spiegarci l’arcano dell’esistenza. Questa premonizione ci spinge a vivere il quotidiano come fosse il culmine di tutto e non una parte di esso. Il poeta, insegue con i suoi versi il destino dell’umanità e quando è sostenuto da una Fede che ne segna il passo, allora realizza la sua metamorfosi. Valeria Albano che ci consegna questa preziosa silloge di poesie “Fiori di Agave”, ha raggiunto il suo scopo perché i suoi versi, calibrati, chiari, ci parlano di emozioni, sensazioni autentiche che si arricchiscono di suoni e profumi della bella terra di Sicilia dove lei è nata e dove si è svolta gran parte della sua vita. Le brevi tappe a Milano, riportate in alcune poesie, sono un esempio di attaccamento alla sua terra se basta un profumo di “mandarini” a ricordarle il paese natio. Il motivo fondamentale che invita a leggere queste liriche è il confronto di un’anima libera che si offre al fruitore in piena “apertura” con immagini colte dal quotidiano: È dolce l’estate,/...La salsa cuoce e riempie col suo odore/di basilico i cuori/ e i piatti di spaghetti.” (da “Aria di luglio”). La realtà diventa poesia senza artificio, in modo naturale, le parole dipingono situazioni, creano emozioni coltivate con amore. L’amore, una componente essenziale in questi versi si presenta venato di dolore eppure vivo, creato e cullato nella speranza della Fede che le inonda l’anima: ”Da sempre è sopra di me/ il respiro di Dio/vibra nel mio respiro/mi copre dal cielo/ e cammino…” (da “E Cammino”). Questo respiro si fa accettazione della vita e compie il miracolo della poesia che è catarsi. Valeria Albano è portata all’analisi dei sentimenti in modo naturale anche quando afferma “Sono stata una madre/senza cuore...non ho trovato/che le tue manine/a darmi ancora voglia/ di campare.” (da “Maternità”). Non c’è in questi versi, il senso d’accusa, ma solo la consapevolezza di un dato di fatto che diviene poesia nel gesto affettuoso del bimbo.
L’operarsi della salvezza dentro gli eventi, è l’imput della sua poesia che parlando di sentimenti comuni a tutti riesce a donare una “pausa” amorevole al lettore.

Mariacristina Pianta: La camera lucida

Il libro di poesie che presento questa sera è di Mariacristina Pianta. “La camera lucida” edizione Nicolodi si presenta come una raccolta preziosa, da tenere fra le mani quasi da accarezzare. La semplicità della copertina non ci tragga in inganno perché l’opera è curata nei minimi particolari:la carta, le riproduzioni che si affacciano a completare la “Galleria” dei personaggi che la poetessa ci propone e che hanno abitato o abitano ancora il suo vissuto, sono una testimonianza di quanto amore e attenzione ella ha da sempre riservato all’amicizia e agli incontri della sua vita. Ma veniamo a visitare questa particolare “galleria” che inizia con un suo ritratto realizzato da Mario Cei a cui la poetessa è legata da sincera amicizia. Ci presenta una Mariacristina padrona di se stessa e della poesia che trattiene con la mano posata sul libro quasi a significare al lettore:attento, stai per entrare in contatto con la mia anima che per me è un bene prezioso. Il suo atteggiamento chiaro e fiero, i colori che la circondano, la collana di perle, ogni particolare ci parla della sua femminilità, di quel disporsi verso l’altro per l’incontro della vita. Tutto, in questo libro, viene rivelato come “dono” scambievole d’amore. Giampiero Neri nella sua “Nota” ci avverte che “Nell’inoltrarsi in queste pagine il lettore sarà presto partecipe del suo mondo nascosto…” e noi non possiamo che essere d’accordo con lui. La chiara e disarmante semplicità dei versi raccolti in questa serie di personaggi divisi in:Senza confini; Lei; Lui; Ritratti; Sequenze; ci parlano di una maturità poetica di Mariacristina dove la trasparenza meditata è sinonimo di comprensione e accettazione del significato ultimo della vita anche quando questa ci pone di fronte a crocevia densi di mistero. La vita e la morte s’incrociano, si alternano trasformandosi donando verità ai sentimenti che ritroviamo in questi versi. E allora incontriamo i suoi amici tutti con il loro nome, che rispondono quasi ad un “appello” in classe, ma con il loro vissuto unico, irripetibile. Di Maria Cumani, mamma di Alessandro Quasimodo, una poesia datata novembre 1995,”Nella tua stanza ancora/il ritmo della danza. Disegna il pensiero/figure nuove e passi/insoliti.A volte/riporta alla collina/che guarda al mare,alle/Calabrie.Leggère ombre/cercano i tuoi occhi.” A Delfina Provenzali che molti di noi hanno avuto l’onore e il piacere di conoscere, perché divenne socia del Cenacolo dopo una bellissima serata qui tra noi. A lei ha dedicato questi versi :”Discreta sei passata/là dove la Parola non ha più spazio./Anche la tua voce era poesia.Ora,/qui, lungo il torrente, pare arsa la terra.” Due poesie che testimoniano la sincerità dei sentimenti.
Le città che ha visitato ci appaiono vive come in un acquerello appena dipinto. Magiche nei versi che ne segnano i contorni quasi in controluce. Il taglio dei versi ne aumenta il fascino. Non ci sono parole in sovrappiù, ma quelle bastanti a rendere vivo e attuale il disegno emotivo da cui sono scaturite. Novara, Taormina, Lagos, tutte messe a fuoco con semplicità sincera, univoca e realistica.

Ambrogina Sirtori: Consonanza di pensieri

Tutto ciò che crea stupore nell’animo umano contribuisce a mantenere giovane l’interesse e fresca la linfa dell’immaginazione. La poesia di Ambrogine Sirtori attinge a questa fonte magica dello stupore di fronte alla natura, alla vita che la poetessa affronta con spirito nuovo ogni volta che il mistero del quotidiano si dipana davanti ai suoi occhi. La montagna si apre per accoglierla quasi come ad una sorella maggiore e svela a lei le sue meraviglie, i doni “...nel silenzio canta la voce del torrente.” (da “Notte in Valle Spluga), il canto poetico si congiunge sulle alte vette e ricade sull’onda del Lago Azzurro. Tempo di sogni e di consonanze di pensieri con argomenti che richiamano alla memoria l’infanzia, la giovinezza fino all’interrogativo finale della morte come modifica di uno stato in essere che suffragato dalla Fede, approda al sentimento di abbandono nella misericordia di Dio. A questo proposito la “Lettera a Padre Turoldo” piena di significati, testimonia l’abbandono fiducioso in un compagno di fede a cui si rivolge con queste parole: ”..Parlami, dal sepolcro che ti accoglie/...dimmi se una speranza/illumina la sera…” Serena è la gioia dei doni della vita che offre alla poetessa l’occasione per il suo canto di lode che ritroviamo nella poesia “Cracovia”. Perché scrive? E’ lei stessa a dirlo nella poesia che porta il medesimo titolo: ”...le parole premono dentro di me/in un sito nascosto della mente.” E cosa curiosa, anche un poeta dei giorni nostri il siciliano Giuseppe Boniviri ha dichiarato in una intervista rilasciata a “Famiglia Cristiana”perché un uomo diventa scrittore e poeta? “Per un fatto congenito, una predisposizione naturale.” La poesia di Ambrogina Sirtori ha il privilegio di farci conoscere un’anima ricca di sogni e d’amore che ha scelto questo mezzo per consentirci una pausa di serenità.

Riccardo Colombo fra Arte e Poesia

Riccardo Colombo è certamente meno noto come poeta che come artista del pennello. Di lui si conoscono i libri dedicati alla Brianza: “Barriano” (1976), “Riccardo Colombo pittore di Monza e della Brianza “(1979), “Alla ricerca dei monumenti antichi intorno a Monza”(1969) “Itinerari artistici della Brianza”(1990). Di poesia: “Primo volo” (1973), “Che cielo che vedo” (1990) e il book “Impressioni di viaggi” a cura dell’Associazione Italiana Maestri Cattolici sez. di Monza, dove i disegni e le poesie documentano i luoghi e i ricordi di viaggio. Ma, per me che ho avuto l’onore di conoscere tutta la produzione poetica di Riccardo, mi sento in grado di affermare che il binomio Arte-Poesia, trova in lui un completamento notevole perché mentre i suoi versi ci comunicano la sua realtà interiore fatta di memorie, il suo “dettato” pittorico ci offre l’immagine del presente suffragata dalla sensibilità del poeta. Un esempio eclatante ci viene confrontando alcuni testi con altrettanti quadri. Proviamo a leggere la poesia “Due mulini di casa mia” datata 25 ottobre 1967….Molti di voi avranno avuto modo di visitare la Mostra realizzata nel vecchio Mulino Colombo dagli Amici dei Musei e che ha riscontrato un notevole successo di pubblico; avrete visto i disegni appesi alle pareti. Ora avete ascoltato i versi scritti in quel lontano 1967 e oggi siamo nel 2004! In quella Mostra c’era anche un olio che riproduceva l’interno della casa dei Colombo dove si vede un tavolo, quella era la scrivania del padre e questa che vi leggerò ora è “La scrivania di mio padre” (14/3/1968)…E’ sempre di quel periodo una poesia intitolata “Felicità” che ci dimostra l’abilità del poeta a disegnare con i versi il paesaggio e l’emozioni che scaturiscono in lui nel ritrarlo. Qui siamo in un paesino vicino all’Adda che ritroviamo in molti suoi disegni.La vita segna, come per tutti noi, il suo destino. Ai momenti lieti ne seguono altri meno felici, ma tutto accade in funzione dell’Arte perché è così che egli ferma il tempo immobilizzandolo sulla tela attraverso il colore e colorando i versi della sua espressione poetica: La valle di Barriano (10/8/1975); Giovanni al Mare (28/6/1976). Colombo padre, sente la responsabilità del ruolo. Essere uomini a fronte dei giovani dell’epoca e allora sceglie il figlio e a lui parla come genitore con l’emozione del ruolo e dell’esperienza. “Rimani piccolo Alessandro” (20/10/1976).Il poeta Colombo, conosce e interpreta il pensiero sugli accadimenti del quotidiano, ne ferma gli attimi salienti come nella poesia “Lamento per la Chiesa di S. Biagio” (8/3/1977)…la stessa Chiesa che ritroviamo in un suo olio a testimonianza del quartiere.Si torna, con lui, a rivisitare cittadine e monumenti come nella poesia “Chiavenna” (6/9/81)…e allora respiriamo il senso di pace che taluni disegni ci comunicano attraverso il colore di taluni cieli dove le nuvole passeggiere comunicano un senso di quiete gioiosa. I momenti di serenità si alternano a quelli di tormento, ma tutto ciò è parte del suo personale istinto artistico che lo porta ad isolarsi, a chiudersi in una solitudine che è ascolto intimo e difesa dal dolore, dai ricordi che gli fa scrivere:…Ogni faccia ha una sua solitudine/che ti ribecca sul momento./ e po,…Tutto è solitudine, incomprensione,/ritorno degli affetti sofferti./… (da “Solitudine vieni” del 19 aprile 1982)Questa immensa solitudine trova quiete fra le mura di casa e nell’abbraccio dei suoi figli…”Io, scosso dal velo della solitudine,/abbraccio fortemente chi mi dà la vita/sul momento”. (maggio 1983 “Tra i vetri velati”).
Attorno agli anni ’90 troviamo che le sue opere pittoriche divengono più sofferte e segnate da tratti scuri, linee aggrovigliate, ricordiamo “Incidente stradale S. Sebastiano 1988; “Concerto 1989” e così via solo per citarne alcune. Anche la poesia assume toni più marcati e la sua solitudine si trasforma in “disagio”. Quel disagio esistenziale che tanti hanno sperimentato e che purtroppo perdura ai giorni nostri.Leggiamo: “Gettarmi non è facile” (21 gennaio 1991). I figli sono cresciuti, hanno una loro vita e tutto corre vorticosamente: “A Giovanni” (7 marzo 1992), ma gli affetti più cari sono per lei, la donna della sua vita:”Ti alzi contenta” 81 febbraio 1993), più volte disegnata, dipinta nei suoi quadri, cantata nelle sue poesie.
La Fede è stato l’anello di congiunzione per Riccardo Colombo tra Arte e Poesia. Fede nel colore e nel verso come lode a Dio e a tutti coloro che egli ha amato.

Anno 2005

Enrico Sala: Ul regal pussee bell - Ediz. Montedit

Quando si parla di dialetto mi vengono in mente le parole di un caro amico, grande estimatore di quella che riteneva fosse una lingua, parlata, limpida, genuina, come il latte che il bambino sugge dalla madre fin dalla prima poppata.
Si, così Giuseppe Pozzi poeta dialettale, scrittore, giornalista , noto al mondo radiofonico col nome di Gipo amava definire il vernacolo. Lui amava e difendeva il dialetto brianzolo in tutte le sue sfaccettature e ne evidenziava le diversità da paese a paese, sempre salvando l’originalità della parlata locale.
Enrico Sala, nativo di Albiate, in questo suo primo libro: ”Ul regall pussee bell”, risponde chiaramente a questa immagine di uomo amante della terra nativa e delle sue tradizioni. I ricordi, le emozioni scritte come vengono parlate, sono il fil rouge che lega tutta la sua opera. Le soddisfazioni che ha raccolto fin dai suoi primi tentativi poetici, confermano questa sua predisposizione a narrare le vicende dell’infanzia, della sua vita, con i “colori” del dialetto. Fermando l’ispirazione autentica colta dalla vita di tutti i giorni nell’idioma dialettale antico. Questo è in sintesi Il regalo più bello e mi permetto di scriverlo in italiano, perché è anche un dono che egli fa a tutti noi nel consegnarci il linguaggio dei suoi antenati, delle persone che lo hanno circondato, amato, cresciuto e aiutato a divenire l’uomo di oggi, ancorato ad una società che tenta di dimenticare, perché ricordare talvolta, può far soffrire. L’Amore per il suo dialetto coinvolge il fruitore, colui che si trova a leggere tra le righe di un’emozione senza tempo di fronte alla foto del nonno:
”...stampada su la foto,/tacada a la Maria Bambina,/gh’è la faccia d’el me nonu…”
I dialetti ritrovano una loro dignità anche nell’intercalare della letteratura ufficiale quando ne esaltano l’immagine.
E il discorso si fa pieno di ricordi, tenerezze ma anche speranze per il futuro. Ecco, dove s’incontra il poeta: colui che vive, gioisce e muore, ogni volta che un suo verso, nato dal cuore, si stampa e incide con l’inchiostro della vita!


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